Revista de Culturas y Literaturas Comparadas, volumen 14 - diciembre 2023
ISSN: 2591-3883
Tiny Tim en la gran pantalla. La representación de la discapacidad en tres
adaptaciones de A Chistmas Carol en la posguerra de la Segunda Guerra
Mundial
Eleonora Gallitelli
eleonora.gallitelli@gmail.com
Università degli Studi Roma Tre, Italia
Resumen
Esta contribución se centra en el análisis del personaje de Tiny Tim del texto de Dickens
A Christmas Carol y su representación en tres películas de la posguerra: la película
británica Scrooge (1951), la española Leyenda de Navidad (1947) y la italiana Nunca es
demasiado tarde (1953). El análisis está realizado desde una doble perspectiva que
atiende a los “disability studies” (con respecto a la representación de la enfermedad) y de
“affect studies” (en referencia a la interacción entre los sujetos o in-between-ness)
perspectiva que ayudará a arrojar luz sobre la perspectiva estereotipada de la
discapacidad que se advierte en las transposiciones fílmicas del relato.
Palabras claves: Charles Dickens, A Christmas Carol, adaptación filmica, discapacidad,
affect studies.
Tiny Tim sul grande schermo. La rappresentazione della disabilità in tre
adattamenti di A Christmas Carol del secondo dopoguerra
Astratto
Il presente contributo intende soffermarsi sul personaggio di Tiny Tim del dickensiano A
Christmas Carol per esaminare come sia stato rappresentato in tre film realizzati nel
secondo dopoguerra: il britannico Scrooge (1951), lo spagnolo Leyenda de Navidad
(1947) e l’italiano Non è mai troppo tardi (1953). L’analisi, condotta dalla doppia
prospettiva dei disability studies (per quanto riguarda la rappresentazione dell’infermità)
e degli affect studies (in riferimento all’interazione tra i soggetti o in-between-ness),
contribuirà a fare luce sulla stereotipizzazione della disabilità che emerge nelle
trasposizioni filmiche della novella.
Parole chiave: Charles Dickens, A Christmas Carol, adattamento, disabilità, affect
studies.
Tiny Tim on the big screen. The representation of disability in three
adaptations of A Chistmas Carol in the post-World War II period
Abstract
This paper focuses on the character of Tiny Tim in Charles Dickens’s A Christmas Carol
to examine how he was represented in three films made in the postwar period: the British
Eleonora Gallitelli: Tiny Tim en la gran pantalla...
Scrooge (1951), the Spanish Leyenda de Navidad (1947) and the Italian Non è mai troppo
tardi (1953). Adopting the double perspective of disability studies (to consider the
representation of infirmity) and affect studies (to assess the interaction between the
characters, or “in-between-ness”), the analysis aims to throw light on the disability
stereotypes which typically emerge in film adaptations of the novel.
Keywords: Charles Dickens, A Christmas Carol, film adaptation, disability, affect
studies.
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Revista de Culturas y Literaturas Comparadas, volumen 14 - diciembre 2023
ISSN: 2591-3883
1. Introduzione
Il presente contributo intende soffermarsi sul personaggio di Tiny Tim della
novella dickensiana A Christmas Carol per analizzare come sia stato rappresentato sul
grande schermo nel secondo dopoguerra dalla doppia prospettiva dei disability studies
1
per quanto riguarda la rappresentazione della componente fisico-motoria della sua
infermità, e degli affect studies in riferimento alla dimensione dell’intimità e
dell’interazione tra i soggetti o in-between-ness
2
.
In via preliminare, sembra utile inquadrare brevemente A Christmas Carol
all’interno della produzione di Charles Dickens. La novella fu scritta in sole sei settimane,
tra una puntata e l’altra di Martin Chuzzlewit; pubblicata il 19 dicembre 1843, questa
“Ghost Story of Christmas”
3
divenne subito un bestseller.
Ancora oggi A Christmas Carol resta la più nota delle opere di Dickens nonché la
più adattata, condensata, riraccontata e modernizzata di tutta la letteratura inglese. Per
effetto della lunga sequela di adattamenti e riscritture che ha ispirato nel tempo, sin dai
primi ritocchi che l’autore stesso vi apportò per aprire le letture pubbliche dei suoi libri
in Europa e negli Stati Uniti a partire dal 1857, il Carol ha assunto il doppio status di
“text” e “culture-text” (Davis 4). Il primo, dal punto di vista cronologico e filologico,
altro non è che l’opera in prosa originaria scritta da Dickens nel 1843; il secondo è il testo
che è rimasto nella memoria collettiva, “a formidable assemblage of popular-culture
artifacts that includes numerous film/TV adaptations” (Norden 188).
È difficile fornire un conteggio preciso degli adattamenti per il teatro, la radio, il
cinema, la televisione, l’opera e persino l’intrattenimento videoludico tratti da A
Christmas Carol. Restringendo il campo ai soli adattamenti cinematografici, se ne
contano almeno cinquantasette, a partire dal film muto del 1901 Scrooge, or Marley’s
Ghost, fino alla miniserie della BBC del 2019, che conserva il titolo originale dell’opera
calandola in un’atmosfera dark fantasy. Verosimilmente, quindi, come afferma Guida,
“most of us know Ebenezer Scrooge and Tiny Tim and Jacob Marley not from the printed
page but from TV and film” (“Scrooge Lives” 31).
Tanto la disabilità fisica di Tiny Tim quanto l’affetto che la famiglia Cratchit
riserva al più sfortunato dei suoi componenti costituiscono la leva che spingerà il vecchio
avaro Ebenezer Scrooge a riconsiderare la propria esistenza solitaria e meschina e ad agire
per prevenire la morte prematura del bambino, nonché la propria. Peraltro, il celebre
Scrooge, come è noto, non è il solo a essere colpito, e persino trasformato, dalla
vulnerabilità dei bambini in epoca vittoriana
4
. Nel corso dell’esistenza di Charles Dickens
(1812-1870) i bambini e i giovani costituivano una porzione significativa della forza
lavoro in Inghilterra, e il lavoro minorile era poco regolamentato, in quanto i bambini
erano visti per lo più come piccoli adulti. Lo stesso Dickens, all’età di dodici anni (come
il suo David Copperfield a dieci), dovette svolgere lavori umili e alloggiare lontano dalla
famiglia quando suo padre fu arrestato per debiti e detenuto nel carcere di Marshalsea,
mentre i fratelli più piccoli vivevano in cella con i genitori
5
. In particolare, a segnarlo per
tutta la vita, come confidò anni dopo all’amico Forster, fu l’esperienza lavorativa nel
1
Nel campo dei disability studies si rimanda a Wolfson e Norden, e Norden.
2
Per gli affect studies si vedano almeno Seigworth e Gregg, per i quali l’affetto non è mai completamente
separabile dal corpo e dalle sue funzioni cognitive.
3
Il titolo originale è A Christmas Carol. In Prose. Being a Ghost Story of Christmas.
4
Si rimanda a Brewer.
5
La vicenda è raccontata in Tomalin.
Eleonora Gallitelli: Tiny Tim en la gran pantalla...
magazzino infestato dai ratti sul Tamigi, presso l’attuale stazione di Charing Cross, dove
aveva il compito di chiudere ed etichettare vasetti di lucido per scarpe. In quegli anni,
d’altronde, il concetto di infanzia era in via di trasformazione; da adulti in miniatura i
bambini iniziavano ad essere considerati sempre di più come entità separate, con i propri
bisogni e desideri: l’idea dell’infanzia che abbiamo oggi nacque alla fine del Settecento
e portò, nel periodo vittoriano, alle leggi che abolirono il lavoro minorile, ai dibattiti
sull’istruzione infantile e al nuovo mercato della letteratura per ragazzi.
2. Tiny Tim in Dickens
Nel testo originale di A Christmas Carol Tiny Tim è una figura piuttosto
marginale, se si considera la sua presenza effettiva nel romanzo puramente in termini di
frequenza lessicale. Il soprannome compare in tutto ventidue volte, ed esclusivamente
nella seconda metà del romanzo: tredici nello Stave III, sei nello Stave IV, tre nello Stave
V
6
. Un’analisi cursoria di queste occorrenze aiuterà a comprendere come il personaggio
venga caratterizzato dall’autore. Nello Stave III il bambino è menzionato per la prima
volta da sua madre, insieme a due dei suoi fratelli e al padre, in un dialogo con gli altri
figli: “‘What has ever got your precious father then?’ said Mrs. Cratchit. ‘And your
brother, Tiny Tim! And Martha warn’t as late last Christmas Day by half-an-hour?’”
In seguito il bambino entra in casa sulle spalle del padre, Bob Cratchit, qui
presentato affettuosamente come “little Bob” se il bambino è minuscolo, anche suo
padre è piccolo. Descrivendo con pochi sapienti tocchi i due personaggi, il narratore
esclama: “Alas for Tiny Tim, he bore a little crutch, and had his limbs supported by an
iron frame!” Una volta sceso dalle spalle del padre, Tim viene “hustled”, trascinato dai
due fratellini, che lo sorreggono (“bore him off”) fino al lavatoio, dove il pudding borbotta
nella pentola. Una volta che Tim si è allontanato, Mrs. Cratchit chiede al marito come si
è comportato il bambino e lui risponde:
As good as gold […] and better. Somehow he gets thoughtful, sitting by himself so
much, and thinks the strangest things you ever heard. He told me, coming home, that he
hoped the people saw him in the church, because he was a cripple, and it might be
pleasant to them to remember upon Christmas Day, who made lame beggars walk, and
blind men see.
Come è stato osservato da Hind-Portley, indirettamente il bambino, con la sua
infermità, ricorda al lettore di A Christmas Carol la presenza di Cristo, mai nominato
nella novella ma qui evocato tra le righe con il pronome “who” per i suoi miracoli. Il
credo di Dickens è riassunto da Cunningham in un semplice comandamento: “Be kind
and loving to a child and you are on Jesus’s side” (265).
La voce di Cratchit trema mentre riferisce le parole del piccolo alla moglie e alla
figlia maggiore Martha e, ancor più, quando aggiunge che “Tiny Tim was growing strong
and hearty”. Questa frase è subito smentita dal suono della stampella sul pavimento: Tiny
Tim torna, ancora una volta, “escorted by his brother and sister” e va a sedersi davanti al
fuoco, finché “Bob took Tiny Tim beside him in a tiny corner at the table”. Alla vista
dell’oca natalizia in cui Mrs. Cratchit affonda il coltello facendo fuoriuscire il ricco
ripieno, “even Tiny Tim, excited by the two young Cratchits, beat on the table with the
handle of his knife, and feebly cried Hurrah!”. La debolezza e la piccolezza del bambino
6
Il computo delle occorrenze di “Tiny Tim” è stato facilitato dalla web app CLiC: Corpus Linguistics in
Context.
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non gli vietano di partecipare ai calorosi rituali natalizi della famiglia e di gioire con gli
altri. A lui è riservata l’ultima benedizione davanti al fuoco, che è anche la frase più
celebre dell’intero Carol: “‘God bless us every one!’ said Tiny Tim, the last of all.’” È
interessante osservare nel dettaglio la prossemica di questa scena, che indica, ancora una
volta, attraverso la posizione, la gestualità e il corpo stesso dei personaggi, la vulnerabilità
del bambino e l’atteggiamento protettivo di Cratchit, quasi ad anticipare un possibile
finale tragico per Tiny Tim: “He sat very close to his father’s side upon his little stool.
Bob held his withered little hand in his, as if he loved the child, and wished to keep him
by his side, and dreaded that he might be taken from him.”
Lo sgabello, la mano, tutto ciò che appartiene al bambino è piccolo, come lascia
intendere del resto anche il suo soprannome, che, osserva Norden, è passato “from simple
adjective to form half of one of the world’s most famous nominal alliterations” (190).
Il timore di Cratchit sembra trasfondersi, come per un conatus
7
affettivo, nel
vecchio Scrooge, che osserva la scena non visto, insieme al Ghost of Christmas Present,
a cui chiede “with an interest he had never felt before, ‘tell me if Tiny Tim will live’”. Il
fantasma, che evidentemente è al corrente degli eventi che accadranno (o meglio, che
potrebbero accadere) nel futuro, dice di vedere “a vacant seat” e “a crutch without an
owner, carefully preserved”. L’affetto della famiglia per il bambino si protrae nel tempo
anche dopo la sua morte, nella cura con cui viene conservata la sua stampella. Nessuno
dei Cratchit, invece, prova alcun sentimento per Scrooge, neanche Tiny Tim, che si unisce
per ultimo al brindisi in onore dell’“Ogre of the family”, ma “he didn’t care twopence for
it”. Come molti personaggi positivi nell’opera di Dickens, il bambino si esibisce in un
canto, “a song, about a lost child travelling in the snow”, che intona con la sua “plaintive
little voice”. Per tutta la durata dell’esecuzione Scrooge fissa lo sguardo sul gruppo di
famiglia riunito per festeggiare il Natale, “especially on Tiny Tim”.
Nella sezione successiva, ambientata in un futuro possibile, il piccolo Cratchit,
che intanto è morto, viene compatito dal narratore con un’altra esclamazione, simile alla
precedente: “Ah, poor Tiny Tim!” Ora in famiglia regna il silenzio, e la madre ricorda
l’inverno in cui Cratchit camminava con il piccolo sulle spalle. Tutti i componenti del
gruppo familiare promettono che non lo dimenticheranno, e che anzi, quando
ricorderanno “how patient and how mild he was; although he was a little, little child; we
shall not quarrel easily among ourselves, and forget poor Tiny Tim in doing it”.
Questa scena, in cui tutti i membri della famiglia baciano Bob Cratchit ricordando
il piccolo defunto, sollecita un altro intervento del narratore, che associa il bambino alla
divinità: “Spirit of Tiny Tim, thy childish essence was from God!”.
Nella sezione conclusiva la narrazione torna al presente di Scrooge, che si è
risvegliato dopo la sua turbolenta notte di Natale ed è desideroso di compiere opere di
bene. Curiosamente, nella prima allusione a Tiny Tim dell’avaro redento, il prize
Turkey” di cui Scrooge fa dono ai Cratchit viene misurato in rapporto al bambino: “It’s
twice the size of Tiny Tim.” Il narratore assicura che il piccolo Cratchit, nel frattempo,
“did NOT die” e Scrooge è diventato per lui come un secondo padre. Come è noto, la
storia si conclude con la benedizione del bambino “as Tiny Tim observed, God bless
Us, Every One!” – estesa, questa volta, a tutti i lettori.
7
Il termine è tratto da Spinoza, considerato il progenitore della affect theory, che definisce il concetto di
affetto (affectus) come variazione prodotta in un corpo da un altro corpo, così da aumentarne o diminuirne
il potere d’azione, lo sforzo di esistere (conatus).
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3. Tiny Tim al cinema
Un primo studio sulle trasposizioni filmiche del personaggio dickensiano di Tiny
Tim dalla prospettiva dei disability studies è stato proposto, nel 2003, da Norden, che ha
concentrato la sua analisi su sette adattamenti di A Christmas Carol realizzati dagli anni
Trenta del Novecento al Duemila: Scrooge (1935), A Christmas Carol (1938), Scrooge
(1970), Mickey’s Christmas Carol (1983), Scrooged (1988), The Muppet Christmas
Carol (1992) e A Diva’s Christmas Carol (2000). Salvo la prima, che è britannica, si tratta
in tutti i casi di produzioni statunitensi.
Norden ritiene che questi adattamenti, se pure in maniera e in misura diversa,
convalidino un “disability sterotype” che da decenni imperversa sugli schermi
cinematografici e televisivi, lo stereotipo dello “Sweet Innocent” (Wolfson e Norden
295). Questo modello ricorrente consta essenzialmente di tre elementi. Il primo è
l’esagerazione della purezza e della spiritualità che allusivamente Dickens attribuisce a
Tiny Tim, il quale, per esempio, invece di intonare un canto triste su un bambino che si è
perso nella neve come nella storia originale, canta gli inni religiosi “Hark! The Herald
Angels Sing” nel film del 1935 e “Oh Come, All Ye Faithful” nella versione del 1938, un
motivetto su “a beautiful day that I dream about” nel musical del 1970 e un’allegra
canzone ispirata dalla frase “God bless us every one” nell’adattamento dei Muppet del
1992. Il secondo elemento individuato da Norden è l’oggettificazione di Tiny Tim, mai
esplorato nella sua interiorità ma sempre visto dall’esterno, dalla prospettiva di altri
personaggi come Fred (il nipote di Scrooge) nel film del 1938, Bob Cratchit nella versione
del 1970 e l’alter ego di Scrooge, Frank Cross, in Scrooged del 1988. Infine Norden
concentra la sua attenzione sul ritorno allo status di normodotato di Tim, che sembrerebbe
deducibile da alcuni commenti espliciti inseriti nei film analizzati, laddove l’originale
manteneva una certa ambiguità sul futuro del bambino, di cui il lettore sa soltanto che
non morirà.
In queste riconfigurazioni il personaggio di Tiny Tim si presenta come perfetto
sotto ogni aspetto ad eccezione della disabilità fisica, reattivo più che proattivo, e
ricompensato per la sua mitezza “spirituale” con un miracoloso recupero della pienezza
delle sue capacità fisiche. Apparentemente, questa visione idealizzata della disabilità è
difficile da accettare per i veri disabili, e potrebbe persino contribuire alla loro
ghettizzazione. Il sentimentalismo che ammanta questo stereotipo, secondo Stothers,
“contributes to our oppression. When you think about a person with a disability as
someone to feel sorry for, as someone to be taken care of and looked after, it is difficult
to think about hiring them as a teacher, an architect or an accountant”. Per questo motivo
la comunità dei disabili trova Tiny Tim “a thoroughly repellent figure” (Norden 197).
Questa analisi, e le relative conclusioni sulla stereotipizzazione della disabilità
nelle trasposizioni filmiche indagate dal critico americano, invitano ad ampliare la
prospettiva prendendo in esame altri adattamenti cinematografici della novella finora non
considerati. Si può notare, per esempio, come nel corpus dei film passati in rassegna da
Norden restino scoperti i trentadue anni che vanno dal 1938 al 1970, comprendenti il
secondo dopoguerra. Proprio nel dopoguerra escono tre importanti adattamenti per il
cinema: il britannico Scrooge (riproposto in America con il titolo A Christmas Carol
1951), e le prime trasposizioni prodotte al di fuori degli Stati Uniti e del Regno Unito:
Leyenda de Navidad (1947) in Spagna e Non è mai troppo tardi, poi distribuito come Una
meravigliosa notte (1953), a quanto ci risulta l’unica trasposizione italiana ad oggi
esistente del film.
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In generale, come nota Guida, nel dopoguerra riemerge il “lato oscuro” di Dickens
(A Christmas Carol 103), per lo più assente nei precedenti adattamenti, in trasposizioni
più filologicamente fedeli al testo fonte rispetto al passato. La guerra aveva lasciato uno
strascico di cupezza e un desiderio di raccontare la realtà sociale senza abbellirla o
edulcorarla che i registi del periodo accolsero nei loro film, come dimostrano i capolavori
del Neorealismo italiano, la cui influenza andò a estendersi alle cinematografie di tutto il
mondo.
3.1. Tiny Tim in Scrooge (1951)
Riconosciuto come una delle “most prestigious versions” (Christol 1), quando non
proprio “the best adaptation” (Pfeiffer) dell’originale dickensiano o semplicemente “THE
Carol(Guida, A Christmas Carol, 102), Scrooge è un film in bianco e nero prodotto e
diretto da Brian Desmond Hurst con sceneggiatura di Noel Langley, noto per
l’interpretazione di Alastair Sim nei panni dell’eroe eponimo. È uno dei film natalizi
preferiti dai britannici e fu da subito un grande successo internazionale: “There were
numerous film versions of the story released before this one, and further versions
followed it, but this adaptation, grounded by Sim’s memorable interpretation of Scrooge,
set the standard” (Pfeiffer).
La peculiarità di questa versione, come suggerisce il titolo, sta nel suo inedito
scavo nel passato di Scrooge, che emerge come un personaggio di grande complessità,
convinto che “the world’s becoming a very hard and cruel place” e che “One must steel
oneself to survive it and not be crushed under with the weak and the infirm”
8
.
Tiny Tim viene nominato già nella prima scena dal nipote di Scrooge, che chiede
a Cratchit notizie sulla salute del suo “little lame boy”. Nella scena successiva (che
costituisce un’altra aggiunta rispetto alla novella), a contrastare la lugubre apertura del
film compare il bambino, sorridente e attratto dai giocattoli meccanici che suonano e
danzano nella vetrina di un negozio. Il suo sguardo si oscura quando un commesso prende
una barchetta dalla vetrina per venderla: Tim non è triste per la sua infermità, ma per
l’indigenza della sua famiglia: sa, infatti, che lui stesso non potrà mai ricevere un
giocattolo così bello. Lo raggiunge sua madre, che lo sorregge per un braccio mentre
camminano verso casa. Quando lei nomina Mr Scrooge il bambino sospira; lei gli
domanda se si sia stancato troppo, ma Tim risponde energico: “Not a bit, mama!”.
A due terzi del film, sotto la neve, che cade fitta e si è posata sulla strada e sulle
ante delle finestre, appare Bob Cratchit con Tiny Tim sulle spalle. Dalla finestra una delle
bambine li vede e annuncia il loro arrivo al resto della famiglia intenta a preparare la
tavola. Come nel testo di Dickens, una delle sorelle, Martha, si nasconde per fare una
sorpresa al padre, che entrando posa l’alto cilindro capovolto su una sedia e sorride. Il
bambino zoppica con la stampella guardando in camera. Anche lui sorride agli altri
membri della famiglia, chiede notizie sul pudding ai fratelli, afferra una stampella e va a
controllare la cottura insieme a loro.
Il dialogo tra Cratchit, la moglie e la figlia è riportato fedelmente, ma il regista
indugia sull’ultima frase, “He’s growing strong and hearty”, seguita da una question tag,
“Isn’t he my love?”. La moglie non dà risposta, abbassando lo sguardo mentre la musica,
fino ad allora festosa, diventa malinconica. Quindi Scrooge chiede allo Spirito notizie
sull’avvenire del bambino, ed ecco che questi rientra nella stanza per sedersi davanti al
8
Oltre a Tiny Tim, la disabilità è presente nel film nelle figure dei bambini tubercolotici assenti nella
novella con cui si apre la scena ambientata nel negozio di Old Joe, dove Scrooge vede la governante, la
lavandaia e il becchino che vendono i suoi averi dopo la sua morte.
Eleonora Gallitelli: Tiny Tim en la gran pantalla...
fuoco, mentre il padre gli dice: “Well, my little clock sparrow, here’s your own stool by
the fire all ready for you”. Tim si siede ed esclama: “There’s such a goose, Martha and
pudding, oh the pudding!E quando sua madre si mostra preoccupata per la quantità della
farina, Tim aggiunge raggiante: “It’ll be the finest pudding in the whole of London this
Christmas, and the goose will be the finest goose”. Gli fa eco Martha, abbracciandolo:
“And ours will be the finest Christmas”.
Nella scena successiva, a tavola, la famiglia brinda con “the best gin punch”.
Anche in questo caso Tim interviene nella conversazione con commenti animati. L’ultima
scena è un primo piano del bambino che scandisce con chiarezza le parole “God bless us,
every one”, beve il suo punch e sorride. Quando però Crutchit propone un brindisi a
Scrooge, anche lui, come il resto della famiglia, protesta indignato e porta il bicchiere alla
bocca per ultimo, aggrottando le sopracciglia.
Questa sequenza non sembra intaccata dalle tre dimensioni del “disability
sterotype” individuate da Norden: il bambino non è passivo, ma vivace, non è pio e
benevolo con tutti, ma si acciglia all’udire il nome di Scrooge, non è solo visto da una
prospettiva esterna, oggettificato, ma partecipa all’azione. Inoltre, in questa versione, non
canta. Nel tempo futuro, in casa Cratchit la scena si apre su Master Peter, il fratello
maggiore, che legge un passo della Bibbia con le note di Silent Night in sottofondo.
Cratchit torna a casa e si dice “content” per aver trovato un luogo in cui seppellire Tiny
Tim, al che tutta la famiglia si commuove, e si commuove anche Scrooge che li osserva.
A cambiare significativamente in questa versione rispetto al testo di Dickens è il
finale. Quando in casa Cratchit arriva il grande tacchino, è Tiny Tim a indovinare il nome
del benefattore: “I think I know who sent it.” I fratelli, con l’ingombrante tacchino in
mano, rispondono in coro: “Who?” “Mr Scrooge!” Sua madre non ne è affatto convinta.
Nell’ultima scena del film, mentre la voice over del narratore recita l’epilogo, Tiny Tim
corre verso “Uncle Scrooge” e, saltellando, lo prende per mano sulle note di Silent Night.
Se la riabilitazione finale del piccolo Tim accomuna questo film a quelli analizzati da
Norden, replicando il cliché del “return to able-bodiedness” (193), non appare tuttavia
fuori luogo, in quanto in questa versione il bambino era caratterizzato da allegria e gioia
di vivere anche da infermo, e proprio questa sua trascinante vitalità sembra aver attivato
in Scrooge il conatus necessario per la futura trasformazione.
3.2. Tiny Tim in Leyenda de Navidad (1947)
Leyenda de Navidad è uno dei pochissimi adattamenti di A Christmas Carol
prodotti fuori dall’America e dal Regno Unito. Per molti anni si pensava perduto, ma Fred
Guida dichiara di averne ritrovato una copia durante le sue ricerche per A Christmas Carol
and its Adaptations. Guida sostiene che non si tratti di un “absolute masterpiece”, ma
comunque di una “excellent adaptation that is filled with many delightful surprises” (A
Christmas Carol 99).
Scritto e diretto da Manuel Tamayo, di cui costituisce l’opera prima da regista,
contiene, nel giudizio di Guida, molti interessanti elementi creativi (l’avaro protagonista
della storia, per esempio, qui prende il nome di William Scrooge Vanquero). Sembra che
Guida sia riuscito a reperire l’ultima copia della pellicola, “a lone 16mm print […] worn
and faded” (A Christmas Carol 99), oggi non disponibile per la visione.
La trama è molto fedele allo spirito e al nucleo del testo originale, anche se
Tamayo si prende diverse libertà. La storia, ambientata nella Londra di Dickens, si apre
nell’ufficio di Scrooge e Marley, qui frequentato da vari dipendenti oltre a Cratchit, che
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è l’usciere. Il tono è più leggero e scherzoso ma non parodico, gli spiriti sono uomini ben
vestiti dell’età di Scrooge, mancano del tutto le figure allegoriche di Ignorance and Want,
mentre vengono aggiunte alcune scene, come quella in cui il nonno di Scrooge racconta
la storia della nascita di Cristo (e compare un’immagine della sacra famiglia) o quella in
cui la ex fidanzata di Scrooge, qui chiamata Mary, piange, nel futuro, sulla sua tomba.
Guida non fa alcun riferimento al trattamento del personaggio di Tiny Tim in
questo adattamento. Pertanto, per i fini di questo contributo, analizzeremo la versione
successiva del 1966 realizzata dallo stesso Tamayo per la televisione, con il medesimo
titolo, che sembra conservare tutte le innovazioni introdotte quasi vent’anni prima dal
regista. Nel “Capítulo Tercero” il fantasma del presente, che si definisce “tan gordo”,
troppo grasso per saltare dalla finestra, chiede a Scrooge in tono bonario e amichevole se
gli piacerebbe sapere come festeggia il Natale “el conserje de vuestro banco”. Scrooge
dice di sapere “que son muchos y que tienen un hijo paralitico”. Alla tavola dei Cratchit
siedono cinque persone intorno a un magro pasto. Il fantasma soffia sul tacchino e sul
pudding, che come per magia aumentano di dimensioni. L’unica nota triste, per il padre,
il giorno di Natale, è non aver potuto compiacere Tiny Tim, che per camminare
necessiterebbe di un “aparato para sus piernas muertas”. Subito Scrooge si offre di
acquistare il sostegno, convinto di riuscire a ottenere uno sconto, ma lo Spirito risponde
che non è possibile: nel futuro vede la sedia vuota di Tiny Tim e la stampella conservata
con cura.
Mentre Cratchit pronuncia una benedizione prima di iniziare la cena, il bambino
sbadiglia e poi dice di non aver mai visto un tacchino così grande. Lui stesso non è affatto
gracile e malato come nel testo originale, ma cicciottello e sorridente; l’unico indizio della
sua infermità sta nel fatto che, quando gli altri commensali si alzano per brindare, lui resta
seduto. Peter versa la birra e Cratchit dice che presto rivelerà una notizia che Tiny Tim
già sa, perché gliela ha annunciata andando a messa. A dare la buona notizia del nuovo
impiego di Peter è il bambino stesso, dopo aver confabulato scherzosamente con il padre.
Poi tutta la famiglia prega con le mani giunte, e Cratchit ricorda nella preghiera “muy
especialmente” Tiny Tim. Il bambino prende nuovamente la parola per ringraziare il
padre: sa che presto abbandonerà la stampella e correrà come tutti gli altri bambini.
Presume che Scrooge gli abbia dato i soldi per comprare l’“apparato”, ma il genitore
ammette, imbarazzato, di aver dimenticato di chiederglielo. Brindano quindi a Scrooge e,
quando la madre si rifiuta, Tim le ricorda che grazie a Scrooge potrà ristabilirsi. Di colpo
la musica si fa malinconica, e il padre dice al figlio che quest’anno non potrà ottenere
l’apparecchio perché Scrooge non gli ha dato le due corone che gli mancano. Il bambino
compatisce Scrooge, certo che, se non li ha aiutati, è perché non ha potuto; la madre,
piangendo, ragione al figlio e accetta di bere alla salute di Scrooge. Lo Spirito soffia
ancora per ridare gioia alla famiglia, che si stringe in un abbraccio collettivo, mentre il
bambino atteggia la bocca al canto, sulle note di un inno inglese. Così si chiude il terzo
episodio della serie televisiva spagnola, una produzione per famiglie del tutto priva della
complessi psicologica e della cupa mestizia dell’originale. Qui tutti sono felici e
rassegnati alla povertà, e il bambino risponde in tutto e per tutto allo stereotipo dello
“Sweet Innocent”, “‘perfect’ in every way except for the impairment” (Norden 196).
Risvegliatosi dopo l’incontro con lo Spirito del Natale Futuro, per prima cosa
Scrooge a Cratchit il denaro per l’apparato di Tiny Tim, aggiungendo altre dieci corone
perché passino il Natale nel miglior modo possibile. Il bambino non ricompare più nel
film: il lieto fine della parabola di Scrooge è sancito dalla sua riappacificazione con la
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fidanzata della sua giovinezza, Mary, che si presenta poi insieme a lui alla festa natalizia
di suo nipote.
3.3. Tiny Tim in Non è mai troppo tardi (1953)
Ridistribuito con il titolo Una meravigliosa notte, Non è mai troppo tardi è il
primo e unico adattamento italiano di A Christmas Carol. Il film è diretto dal romano
Filippo Walter Ratti e sceneggiato da Piero Regnoli, critico cinematografico del giornale
del Vaticano l’Osservatore Romano qui al suo esordio, che nella sua lunga carriera ha
curato la sceneggiatura di oltre cento film. Il ruolo principale di Scrooge, che in questa
versione viene italianizzato nell’agente di pegni Antonio Trabbi, è interpretato da Paolo
Stoppa, ma il primo nome che si staglia sullo schermo nei titoli di testa è quello del
ventinovenne Marcello Mastroianni nel ruolo di Riccardo, indigente e rivale in amore di
Antonio, che sposa la sua ex fidanzata Rosanna condannandola a una vita di stenti.
In questo adattamento neorealista della novella dickensiana i viaggi nel passato,
nel presente e nel futuro di Antonio/Scrooge avvengono in sogno, e la sottotrama
romantica occupa un’ampia porzione del film, relegando in secondo piano la storia
familiare dei Colussi/Cratchit, che fa la sua comparsa a mezz’ora dalla fine del film.
Antonio viene trasportato da un giovane e allegro avventore incontrato in un’osteria dove
è andato “a smaltire i propri guai […] con qualche bicchiere” nella casa decadente di
Rosanna e Riccardo. Si arriva a questa scena, come per magia, dallo schizzo di una chiesa
abbozzato dal giovane su un foglio di carta, che prende vita sotto le sue mani.
A Natale sono tutti felici, ripete il giovane avventore, ma Antonio risponde che
“ci vuole denaro per essere felici. Tutto costa”. Come esempio di infelicità dovuta alla
miseria Antonio cita “quel disgraziato di Colussi, il mio commesso […] che non ha una
lira in tasca neanche oggi che è Natale”. L’altro risponde che “c’è della gente che ha il
dono di sapersi accontentare” e aggiunge che il suo difetto è che manca di fantasia, per
questo non è felice neanche a Natale.
Lo spirito specifica che non conosce Colussi, ma potrebbe dirgli esattamente cosa
sta succedendo adesso in casa sua. Così la famiglia del commesso di Antonio, Orazio
Colussi, entra in scena attraverso un altro disegno del giovane avventore, che raffigura
sua moglie accanto al fuoco e sua figlia che gioca in un angolo. La bambina chiede alla
madre se è vero che il pollo arrosto è tanto buono; non se lo ricorda, perché l’ultima volta
che l’ha mangiato risale al precedente Natale. Squilla il campanello e la piccola va ad
aprire la porta alla sorella Marta, che le ha portato dei pasticcini. Dopo di lei entra anche
il padre, il quale regge un bambino, Paolo, su un braccio, e due stampelle sotto l’altro.
Con un movimento di macchina l’inquadratura indugia per qualche secondo sui piedi del
bambino, apparentemente inerti. Paolo fa gli auguri alla mamma e la famiglia si siede
sommessamente a tavola. Il padre ringrazia Dio per aver dato loro gioia e serenità anche
se questa gioia non si percepisce nell’atmosfera di sconforto e povertà che regna in casa
e prega perché il bambino possa guarire. Dio ci benedica tutti”, conclude Paolo.
Scrooge/Antonio, preoccupato, stringendo tra le mani un bicchiere di vetro chiede
all’avventore se Paolo vivrà; l’altro gli risponde: Può darsi di sì, può darsi di no.
Dipende”. Nell’inquadratura successiva Colussi ricorda “il signor Trabbi” e brinda in suo
onore. La moglie Anna si rifiuta di “bere alla salute di un essere così lurido”; poco dopo
si convince a brindare, ma non lo fa per lui, dice rivolgendosi al marito, “ma perché ti
voglio bene”. Brinda anche Antonio, nell’osteria, definendo Orazio “un brav’uomo” e
“un amico”.
Revista de Culturas y Literaturas Comparadas, volumen 14 - diciembre 2023
ISSN: 2591-3883
Nel futuro, dopo aver visto il proprio cadavere non compianto coperto da un
lenzuolo, Antonio, accompagnato da un’altra voce ammonitoria, torna in casa Colussi.
Sulle note elegiache di un violino solo, compaiono lentamente, in un ambiente buio, una
stampella appesa al muro, il profilo immobile di una donna che cuce e la figlia che gioca
in uno spiraglio di luce, mentre Orazio entra in casa. È appena stato al cimitero, e dichiara
in lacrime di voler piantare delle piccole rose bianche nella terra intorno alla tomba di
Paolo. Quando Antonio chiede allo spirito perché Paolo sia morto, questi gli risponde:
“Sei tu che lo hai ucciso, un po’ alla volta, giorno per giorno”.
Dopo aver visto la propria tomba, Antonio prega il “dio dei poveri” di dargli la
possibilità di cambiare. La mattina dopo, appena sveglio, manda un bambino dal
pollivendolo per comprare un grosso tacchino. Poi, tra le risate, fa portare il tacchino in
casa Colussi, distribuendo allegramente varie banconote al ragazzo che ha mandato dal
pollivendolo, al negoziante e a un mendicante, e augurando buon Natale ai passanti.
Successivamente, Antonio entra in chiesa e si fa il segno della croce bagnando una mano
nell’acquasantiera. incontra i due signori che la sera prima gli avevano chiesto
un’offerta ed elargisce alcune banconote anche a loro, al suono dell’organo. Fuori dalla
chiesa incontra Orazio, gli dice che gli ha mandato a casa un tacchino e gli promette che
dall’indomani gli aumenterà lo stipendio, aggiungendo che gli manderà “un bravo medico
per Paolo. E per le medicine il conto mandalo a me”. L’altro lo ringrazia, stupito. Antonio
quindi si dirige verso casa di Rosanna e Riccardo. Dice loro di aver capito che “non si
può vivere senza qualcuno che ci voglia bene” e chiede “questa elemosina” al vecchio
rivale. Promette infine che andrà dalla sua famiglia e, in effetti, nella scena successiva si
presenta pieno di pacchi a casa del nipote.
Come nell’Inghilterra vittoriana, così anche nel neorealismo italiano, da I bambini
ci guardano (1943), Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a
Milano (1951) di Vittorio De Sica, a Paisà (1946) e Germania anno zero (1948) di
Rossellini, i bambini assumono un nuovo rilievo. Ne resta traccia in questo film, in cui è
vero che Paolo/Tiny Tim ha un ruolo marginale e poco attivo, ma un altro bambino, il
figlio del nipote di Antonio/Scrooge che presto nascerà, riaccende l’affettività dell’agente
di pegni, il quale dichiara: “Anch’io ho una famiglia. Daniele sta per avere un bambino.
Voglio che si chiami come me, Antonio Trabbi. Mi sembrerà di ricominciare da capo”.
La pietas dell’avaro è sollecitata più dalla condizione di estrema indigenza in cui
versa la famiglia Colussi che dalla malattia del bambino, che non appare un tratto
straordinario nel contesto di miseria della loro casa, ma una verosimile conseguenza della
povertà. Per il piccolo Paolo in questa versione cinematografica il finale resta aperto,
come nella novella di Dickens. Sappiamo che vivrà, ma non se il medico riuscirà a
riportarlo alla “normalità”.
4. Conclusioni
I tre adattamenti cinematografici qui analizzati in riferimento alla
rappresentazione del personaggio di Tiny Tim non solo costruiscono altrettante immagini
della disabilità, ma presentano, di volta in volta, un differente tessuto di rapporti affettivi
e un particolare pathos domestico che sollecita una diversa reazione da parte del
personaggio Scrooge. Anche la percezione del lettore, che assiste al Natale della famiglia
Cratchit dalla prospettiva dell’avaro, è influenzata dalla caratterizzazione del bambino e
dal suo posizionamento all’interno della sfera famigliare. Si può dire, quindi, che Tiny
Tim contribuisca a creare la particolare atmosfera emotiva che fa da sfondo alle tre
Eleonora Gallitelli: Tiny Tim en la gran pantalla...
ricodificazioni dell’opera dickensiana, diventando la chiave di lettura per ciascun
retelling della storia.
Nella novella la disabilità di Tiny Tim offriva al freddo uomo d’affari l’occasione
per intraprendere una trasformazione esistenziale, in quanto presentava un problema
risolvibile, almeno in parte, con un gesto caritatevole: perché Tim non morisse, occorreva
aumentare lo stipendio a suo padre, che così, si deduce implicitamente, avrebbe potuto
provvedere alle spese mediche necessarie per la sua sopravvivenza. Nel testo di Dickens,
insomma, è una questione di vita o di morte: se Scrooge non interviene subito, suggerisce
lo Spirito del Natale Presente e indica puntando un dito lo Spirito del Natale Futuro, Tiny
Tim morirà. La malattia mortale del bambino diventa quindi funzionale alla conversione
dell’anziano.
Nella trasposizione britannica del 1951 la caratterizzazione di Tiny Tim cambia:
non è più debole e deperito, ma sorridente e vitale, festoso, loquace e riflessivo. Ha un
ruolo attivo nella storia, identificando Scrooge come il benefattore della sua famiglia, ma
non è del tutto ingenuo: brinda a malincuore al taccagno datore di lavoro di suo padre e
invidia il bambino fortunato che a Natale riceverà un giocattolo che avrebbe preferito
avere per sé. La visione della sua ipotetica morte prospetta un vuoto profondo nella
famiglia, che si commuove pensando al bambino e si stringe, fisicamente, in un abbraccio
collettivo.
La versione spagnola del 1947 (o, più precisamente, l’adattamento per la
televisione del 1966) presenta un maggior gradiente di oggettificazione del bambino,
etichettato come “paralitico” da Scrooge prima ancora che entri in scena. Gli attributi di
“sweet” e “innocent” sembrano adatti a descrivere questo Tim dal viso rotondo e
sorridente, che canta ed è già convinto della propria guarigione; gli occorre solo un
apparecchio per tornare a camminare, ed è certo che Scrooge donealla famiglia il
denaro necessario per acquistarlo. La morte del piccolo e il lutto della famiglia non
vengono mai menzionati né messi in scena, e l’atto finale di generosità appare dovuto.
Tiny Tim non assume invece una precisa identità nell’adattamento italiano del
1953. Paolo è una presenza silenziosa e passiva, e anche la sua morte viene imputata dallo
Spirito unicamente ad Antonio/Scrooge, che, dopo la trasformazione, provvederà a
mandargli un medico per cancellare la propria colpa. Ciò che conta, in questa versione, è
la famiglia nell’insieme, non i suoi singoli componenti. L’avaro vede una possibilità di
redenzione e rinascita non nel figlio disabile del suo dipendente, ma nel proprio nipote.
L’appartenenza di sangue, nell’Italia del secondo dopoguerra, suscita un conato di affetto
che va oltre la spinta disinteressata alla carità.
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Fecha de recepción:14/4/2023
Fecha de aceptación:12/09/2023