L’ultimo Huxley: oltre Brave New World
verso una società ecologica e pacifista[1]
Vita Fortunati
vita.fortunati@unibo.it
Universidad de
Bologna, Italia
RIASSUNTO
Lo scopo del mio saggio é di analizzare il romanzo utopico di Aldous Huxley Island (1962) mettendolo a confronto con le idee che lo scrittore espone nei suoi saggi Science, Liberty and Peace (1946), The Human Situation (1959), The Politics of Ecology-The Question of Survival (1963) and An Encyclopaedia of Pacifism (1972). Inoltre si metterà in luce quanto Huxley fosse in sintonia con “il movimento dei verdi” in America negli anni 70 e 80 (S.F. Schumacher, 1974; H. Daly, 1977; D.W. Pearce, R.K. Turner, 1990) su alcune importanti questioni che sono ancora al centro del dibattito ecologico sull’ambiente.
Aldous Huxley è un interessante esempio di un intellettuale che si sforzò di unire le due culture, la scientifica e l’umanistica, e che dedicò tutta la vita a ricercare nuove prospettive ed orizzonti ancora inesplorati. Il suo motto “Continuo ad apprendere” esemplifica magnificamente il suo atteggiamento critico e lucido nei confronti della realtà e la sua osservazione della natura. Il suo pensiero critico è una combinazione complessa di razionalità e creatività, di scetticismo e misticismo, che trova la sua sintesi nel principio filosofico di essere “ un idealista realistico”.
In questo senso l’isola utopica di Pala in Island esemplifica la ricerca spirituale e culturale di Huxley, perché egli si sforza di unire e armonizzare i risultati della scienza naturale e della cultura tecnologica con il pensiero orientale. In questo romanzo egli prospetta un nuovo modello di civiltà in cui misticismo e razionalismo si mescolano. In Island egli critica il progresso perché è la causa del consumismo e dello sfruttamento della natura, la scienza tradizionale e la medicina poiché sono state asservite alla società capitalista, la politica sia per il suo cinismo che per aver manipolato e condizionato la gente. In sintesi Huxley ipotizza una società in cui vi sia un equilibrio perfetto tra mente e corpo, tra natura e uomo.
Parole chiavi: dibattito ecologico- misticismo- razionalismo- progresso
The Later Huxley: Beyond Brave New
World towards an Ecological and Pacifist Society
ABSTRACT
The aim of my paper is to analyse
Aldous Huxley’s utopian novel Island (1962)
comparing it to the ideas expounded in his essays Science, Liberty and Peace (1946) The Human Situation (1959), The
Politics of Ecology-The Question of
Survival (1963) and An Encyclopaedia
of Pacifism (1972). As we shall see, Huxley, in accordance with the “green
movement” of the seventies and eighties (S.F. Schumacher, 1974; H. Daly, 1977; D.W.
Pearce, R.K. Turner, 1990) discusses several important issues that are still,
today, at the very core of the environmental debate.
Aldous Huxley is an interesting example of an
intellectual who managed to unite the two cultures, scientific and humanistic,
and who dedicated his life to the search of new perspectives and yet unexplored
horizons. His motto “I keep learning” brilliantly exemplifies his lucidly
critical attitude towards the reality surrounding him and his observation of
nature. His critical thought is, as we shall see, a complex combination of
rationality and creativity, of scepticism and mysticism that finds its
synthesis in the philosophical principle of being “realistically idealist”.
In this sense the Utopian island of Pala in Island positions itself as the symbol of
Huxley’s spiritual and cultural research, because in it he strives to combine
and harmonise the results of natural science and cultural technology with
eastern thought. In this work he prospects a new model for civilisation in
which mysticism and rationalism manage to blend. In Island he criticises progress as the cause of consumerism and the
exploitation of nature, and traditional science and medicine as having been
slaves of capitalistic society, politics for its cynicism, as well as for
having manipulated and conditioned people; he then concludes by hypothesising a
society where a perfect balance between the mind and the body, nature and man
exists.
Keywords: environmental debate- mysticism- rationalism- progress
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Il mio saggio si concentra sull’ultima produzione saggistica di Aldous Huxley ed in particolare sulla raccolta di saggi The Human Situation (1959) e sul romanzo Isola (Island) che uscì un anno prima della sua morte nel 1962 dove vengono ripresi con vigore temi che sono oggi di grande attualità, quali l’importanza di una cultura integrata, il pacifismo, l’ecologia, il sincretismo tra cultura occidentale e orientale, le comunità decentrate e soprattutto l’idea dell’importanza della percezione, cioè la “visione” di una società alternativa a quella capitalistica e consumistica che egli vedeva in atto soprattutto in America.
Prima di focalizzarmi su questi temi vorrei, da studiosa di utopia, rispondere alla domanda del perché mi sono interessata all’ultima produzione di questo scrittore. Huxley, autore di una delle più importanti distopie del novecento, si cimenta negli ultimi anni della sua vita nella scrittura di Island, che pur avendo un finale negativo lascia al lettore/alla lettrice la visione di una società ispirata a valori differenti da quelli del presente, una società che attinge i suoi presupposti da un sincretismo tra le due culture, quella occidentale e quella orientale (Moyland, 2014). Una delle possibili risposte a questo quesito risiede nel tenere in considerazione due elementi: il primo che Huxley pur essendosi espresso negativamente su coloro che prognosticavano l’avvento di un futuro utopico, tuttavia per tutta la vita ricercò possibili soluzioni alternative ai mali che vedeva presenti nella società in cui viveva (Maurini, 2017). Il secondo motivo si trova enucleato nell’es ergo all’inizio di Island, una citazione da Aristotele: “nel concepire un ideale possiamo presumere quel che vogliamo, ma dovremmo evitare le impossibilità” (Huxley, L’Isola, 2017). Questa frase mette bene in luce il suo atteggiamento scettico e sospettoso nei confronti dell’utopia come società perfetta, impossibile, un sogno difficilmente realizzabile. Questa sua prospettiva si esemplifica nella sua frase di “essere realisticamente idealista” e nel suo pragmatismo che lo portava ad avversare i concetti e le parole astratte.
Il primo punto da cui vorrei partire è quello dell’importanza di una cultura integrata. Nel suo saggio L’educazione integrata (1978) che riprende molte idee espresse in Letteratura e Scienza (1962), Huxley opera una sintesi del suo pensiero ed esprime la preoccupazione per una cultura troppo specialistica; essa secondo lo studioso rischia di perdere di vista quelli che sono i problemi centrali e fondamentali dell’umanità. Per ovviare a questo pericolo e per cercare di risolvere questioni urgenti e complesse, occorre attingere a conoscenze che provengono da diverse discipline. In questa prospettiva l’intellettuale è una sorta di pontifex, un «costruttore di ponti», in grado di connettere l’arte e la scienza, di coniugare i fatti osservati in maniera scientifica, oggettiva e distaccata, con il mondo dell’esperienza immediata, di unire le valutazioni morali con quelle scientifiche.
La funzione del letterato nel contesto presente allora, è precisamente quella di costruire ponti tra l’arte e la scienza, tra i fatti osservati oggettivamente e l’esperienza immediata, tra le valutazioni morali e quelle scientifiche. Ci sono vari generi di ponti da costruire e io mi sforzerò di farlo nel corso di queste conferenze (Huxley, 1978, 23).
Le discipline devono smettere di essere separate e sforzarsi di dialogare tra loro. Huxley a questo proposito usa la potente metafora del celibato: la separazione tra i diversi saperi ha portato a quello che lui definisce il «celibato dell’intelletto» ovvero la «super specializzazione», provocando una pericolosa dicotomia tra mente e corpo, tra intelletto e passioni, tra ragione e istinti. Nella società le scoperte scientifiche infatti devono toccare la sensibilità degli uomini ed è per questo che l’artista deve essere in grado di trovare le parole adatte per descriverle. Huxley inoltre sottolinea quanto sia importante che lo scienziato sia umile nel lavoro e nella ricerca come lo sono sempre stati i grandi scienziati, perché l’umiltà predispone a tenere in seria considerazione l’aspetto etico. Huxley, a differenza del fratello, il biologo e genetista Julian, più volte affermò che il compito di uno scrittore e intellettuale era quello di sottolineare che i progressi della scienza e della tecnologia dovevano sempre accompagnarsi ed essere «temperati», mitigati, dalla «compassione» (seguendo la etimologia latina cum-patior soffrire e partecipare alla sofferenza degli altri) e soprattutto dall’umiltà. Il progresso di una civiltà non si misura solo dalle conquiste della scienza e della tecnologia, ma anche dalla presenza di valori quali appunto la compassione e soprattutto da un alto livello di consapevolezza critica nei cittadini (Deese 2015). Per sottolineare la complessa ambiguità della condizione umana oscillante tra materia e spirito, tra corpo e anima, Huxley riprende dalla Religio Medici (1643), del teologo naturalista seicentesco Thomas Brown, l’incisiva metafora dell’uomo come essere anfibio. Nel saggio L’educazione di un anfibio (The Education of an Amphibian) egli afferma che l’essere umano è anfibio perché, non solo può abitare simultaneamente o alternativamente in molti universi differenti e incommensurabili, ma è anche un essere sociale che vive in una società: l’uomo è sapiens, faber e loquax. Per questo Huxley mette in luce come nel processo educativo sia importante tenere presente sia il corpo che la mente mostrando di possedere una visione olistica dell’essere umano. Una esperienza personale- lo scrittore da giovane contrasse una malattia alla cornea, la cheratite, che lo portò a una quasi totale cecità- acuì il suo senso della percezione del mondo attraverso l’utilizzo degli altri sensi. Fu proprio per questo che si interessò a un tipo di educazione che allenasse i ragazzi ad usare i cinque sensi.
Un altro tema che ricorre spesso nella produzione di Huxley è quello della guerra che lo scrittore vede intrinsecamente legato all’ideologia del nazionalismo, una delle grandi piaghe del Novecento. Nei saggi che scrisse tra le due guerre e precisamente tra il 1931 e il 1935, egli definì questo periodo come il più tremendo («un momento della storia immensamente doloroso»), sia da un punto di vista politico (sullo sfondo la presenza dei futuri regimi totalitari e fascisti) che economico (la povertà e la grave disoccupazione). Proprio in questo periodo Huxley si impegna sul fronte del pacifismo contro la guerra. Nel 1935 si iscrive alla «Peace Pledge Union», tiene conferenze pubbliche sul pacifismo e nel 1936 scrive Che cosa farete per questo? Il caso per la Pace costruttiva («What you are going to do about it? The case for Constructive Peace»), seguito nel 1937 dalla pubblicazione della Enciclopedia del Pacifismo (An Encyclopedia of Pacifism). La ferma e risoluta posizione pacifista di Huxley, prima e durante la seconda guerra mondiale, fu osteggiata non solo dal fratello Julian, ma anche da altri scrittori intellettuali della sinistra inglese (Cecil Day Lewis, Stephen Spender e George Orwell) che vedevano nell’avanzata del militarismo fascista un grave pericolo che bisognava impedire. Ma per lo scrittore era possibile spezzare la catena della guerra solo se ci si opponeva radicalmente, perché qualsiasi soluzione militare avrebbe soltanto condotto ad ulteriori conflitti seguiti da ulteriori soluzioni militari “ad infinitum”. Infatti egli afferma che gli armamenti non assicurano la sicurezza, anzi favoriscono la guerra. Nel saggio Guerra e Nazionalismo (War and Nationalism, 1959) Huxley vuole decostruire i tanti pregiudizi che si annidano attorno a questo tema. Primo fra tutti quello che vede la guerra come qualcosa di inevitabile, essendo l’uomo un animale «naturalmente» aggressivo e combattivo. Inquadrando la questione da un punto di vista biologico, secondo Huxley si nota quanto la guerra tra gruppi organizzati di membri della stessa specie sia un fenomeno raro. La guerra tra gli uomini è un fenomeno sociale ed è fortemente condizionata dai sistemi umani simbolici e soprattutto da una delle ideologie più potenti e disastrose della nostra vita moderna: il nazionalismo.
Ora passiamo dalla morale alla politica. Qui siamo immediatamente confrontati dal fatto che la maggior parte della gente impegnata nella corsa agli armamenti considera qualsiasi altra alternativa come utopistica. Ma dopo tutto non sono essi esseri un po’ utopici? Non è la politica che tutti accettano, una politica di completa distruzione, una politica utopica? Essi si definiscono realisti, ma io direi che essi sono realisti utopici. Essi sono realisti per quanto concerne i mezzi che essi impiegano – nulla potrebbe essere più realistico del modo con cui affrontano il problema dell’arma totale e i metodi per distribuirla, ma nulla potrebbe essere meno realistico dei fini proposti. Perché non ci sono fini se non quello della estinzione della razza umana. D’altra parte l’utopista idealista vive in una stratosfera e supplica che ognuno sia buono, gentile e sensibile, ma non offre nessun metodo per implementare le buone intenzioni. Ciò di cui noi abbiamo bisogno è un genere di idealismo realistico o di idealistico realismo, che renda possibile spostare il conflitto a un altro livello che non implichi questi orrori (Huxley, 1978, 86-87).
Egli lega il tema del nazionalismo e della guerra all’educazione che i bambini ricevono nelle scuole, perché esso viene istillato nei vari sistemi educativi attraverso i libri di scuola. Nei saggi Educazione e Pace (Education and Peace, 1937) e Scienza, Libertà e Pace (Science, Liberty and Peace, 1946), Huxley afferma che, anche nei paesi in cui vige la democrazia, la storia viene insegnata con libri che selezionano i fatti legandoli alle varie guerre e con posizioni in favore del militarismo. Egli ammira i sistemi pedagogici della Montessori perché nei suoi scritti essa spiega come certi metodi educativi non abituino il bambino nelle scuole a diventare un adulto con il coraggio di dire ciò che pensa, ma piuttosto lo persuadano a ubbidire passivamente a qualsiasi cosa gli venga impartita senza permettergli di superare la sua timidezza. In questi saggi Huxley si sforza di decostruire l’idea che una nazione si fondi su un territorio, sulla lingua, su di una etnia. Il nazionalismo è chiaramente una ideologia che viene sfruttata dai vari governi per fomentare la guerra e che di volta in volta si può colorare di diverse ideologie. Si tratta cioè di una idea astratta che può essere manipolata dai regimi totalitari ed è particolarmente pericolosa in una società di massa, altamente tecnologizzata, perché i governi sono in grado di costruire potenti strumenti bellici. Huxley, che è stato testimone di due guerre mondiali, afferma che la guerra è uno strumento di morte, non solo perché con la bomba atomica ha provocato milioni di morti, ma anche perché attraverso gli armamenti ha potenziato l’industria della guerra. Essa è alla base del capitalismo americano e della prosperità e della ricchezza dell’Occidente; investire capitali negli armamenti ha provocato una divisione sempre più profonda tra i grandi ricchi e i poveri. In Educazione e Pace (Education and Peace) Huxley analizza criticamente la società americana in cui il potere economico e militare è nelle mani di una oligarchia che è responsabile degli armamenti e degli investimenti economici. Egli afferma che bisogna combattere l’indifferenza, la passività e l’insensibilità morale, caratteristiche pericolose che egli vede pervasive nella società di massa, nonostante gli stermini e gli orrori della prima e della seconda guerra mondiale. La radicalità del pensiero di Huxley è molto vicina a quel procedimento di «resistenza pacifica» che Gandhi aveva sviluppato e che per lo scrittore era l’unica forma valida per opporsi agli armamenti degli stati industriali: una resistenza che prima di essere politica doveva essere individuale e morale. Egli cercò anche di esplorare i metodi non violenti per cambiare le forme della politica, perché era fermamente convinto che il fine nobile di sconfiggere il fascismo sarebbe stato corrotto dai metodi brutali impiegati per armare la Gran Bretagna e l’America. Questa politica della «resistenza» si poteva attuare solo attraverso un cambiamento radicale dell’uomo che doveva passare attraverso una percezione critica della realtà, implicando anche una disciplina continua del corpo e della mente. Huxley definiva questa disciplina «un allenamento nell’arte della visione spirituale» («a training in the art of spiritual insight») che permetteva all’uomo di liberarsi dalle cattive abitudini («bad habits») che si sviluppano a livello morale, ma anche cognitivo, intellettuale ed emozionale. «Percepire» vuole dire avere la capacità di vedere al di là della superficie delle cose, cogliere la realtà con occhi diversi: il vedere non è quindi solo un atto fisiologico, ma diventa anche un habitus mentale. Solo una corretta visione del mondo permette di decostruire le nostre cattive abitudini e il nostro modo abituale di vedere la realtà. Nell’elaborare questo concetto Huxley sentì molto l’influenza di William Blake, perché anche per il poeta coltivare l’immaginazione significava aumentare la propria creatività. Solo attraverso questo processo, secondo lo scrittore, saremmo riusciti a conoscere noi stessi, a liberarci dai nostri pensieri convenzionali e dalle nozioni stereotipate. Si riesce a comprendere la posizione radicale pacifista di Huxley se si tiene presente quanto importanti siano state per lui le conoscenze e lo studio delle diverse religioni, non solo il misticismo occidentale (San Giovanni della Croce), ma anche quello orientale, buddhista e induista (Siddhartha Gautama, meglio conosciuto come Gautama Buddha), una sorta di misticismo eclettico e secolare. Huxley era molto interessato alle tecniche di meditazione praticate dalle varie religioni. “La costante e intensa «autoconsapevolezza», libera da preconcetti, paragoni, condanne; questo risulterà in ciò che Krishnamurti definisce «chiarezza», in ciò che Eckhart chiama «verginità», in ciò che i maestri Zen descrivono come «No Mind» («Nessuna Mente»)” (Huxley, 1936, 36).
La pratica
del distacco, che per Huxley era fondamentale
per acquisire un intelletto critico, comportava anche la pratica della
carità, del coraggio, della cura, dell’intelligenza e della generosità. Per lo scrittore uno dei pregi delle religioni
orientali è il loro «pragmatismo trascendentale» che costituisce la base della vita quotidiana degli
abitanti di Pala nel suo romanzo
utopico Isola.
I filosofi occidentali-anche i
migliori-non sono altro che abili
conversatori. I filosofi orientali sono spesso tutt’altro che abili come
conversatori, ma questo non ha importanza. Le chiacchiere non sono il punto. La loro filosofia
è pragmatica e relativistica.
Come la filosofia della fisica moderna … solo che le operazioni in questione sono psicologiche e i risultati trascendentali. I vostri metafisici fanno asserzioni sulla
natura dell’uomo e dell’universo; ma non offrono al lettore alcun modo di
comprovare la verità di tali asserzioni (Huxley, 2017, 85).
Il terzo punto che rende Huxley, uno scrittore attuale è la sua visione ecologica. Durante gli anni in cui visse in California dal 1937 al 1963, egli venne a contatto con i primi movimenti ecologisti[2] e capì l’importanza dell’ecologia come scienza sistemica: una scienza che doveva dialogare con più discipline e che propugnava una nuova alleanza tra le scienze umane e quelle biologiche. Si trattava soprattutto di un metodo di conoscenza caratterizzato dall’interconnessione e dalla trasversalità dei saperi. Huxley capì che l’ecologia era una scienza della complessità che richiedeva un approccio sistemico caratterizzato dall’interrelazione tra le parti e il tutto, per cogliere le interazioni di equilibri e squilibri, di organizzazione e di disorganizzazione dei meccanismi complessi dei sistemi ecologici. Nei saggi, egli ha anticipato molte idee ecologiche in un periodo storico in cui le energie politiche, sociali ed economiche erano tutte incentrate sul progresso tecnologico, sull’industrializzazione e sul concetto di una crescita senza limiti. Huxley pensava invece che fosse fondamentale superare la posizione antropocentrica, poiché la natura ha i suoi diritti come pure tutte le creature che vivono sulla terra, gli animali e i vegetali. Egli possedeva una chiara consapevolezza del vincolo tra uomo e natura, dell’interdipendenza e della connessione dell’uomo con ciò che lo circonda.
I particolari di questo legare noi stessi al mondo, in un tutto unico quasi organico sono studiati nella scienza dell’ecologia… risulta perfettamente chiaro, quando ci capita di pensare a questo, che noi siamo indissolubilmente un tutt’uno con la natura e che dipendiamo completamente dall’ambiente naturale (Huxley, 1980, 82).
Tutti i cicli naturali dell’ambiente fisico e biologico, tutti i fattori da cui dipende la vita avevano per Huxley dei limiti. Interpretava i processi naturali come dinamici e complessi e al contempo tra loro interdipendenti. Alterando un fattore si influenzavano e modificavano gli altri e, superata una certa soglia di un fattore, si disturbava e sconvolgeva l’equilibrio e l’integrità esistente nel sistema. Auspicò una visione dell’uomo non dualistica, senza separazione tra mente e corpo. La sua fu una visione olistica, unitaria, in sintonia con le filosofie orientali: l’individuo come sistema aperto che interagisce con l’ambiente e il contesto in cui è inserito. Il saggio L’uomo e il suo pianeta (Man and His Planet, 1954) riassume molte delle idee che Huxley espresse nei suoi lavori. Alla base di questo saggio vi era la tesi fondamentale della sua filosofia secondo la quale i buoni fini si raggiungono solo attraverso l’impiego di mezzi appropriati. Esisteva una chiara e stretta correlazione tra fini e mezzi, perché il fine non può giustificare il mezzo per la semplice e ovvia ragione che i mezzi impiegati determinano la natura dei fini prodotti. Inoltre il suo interesse ecologico fu materia di riflessione per gli ecologisti, perché egli si sforzò di coniugare il pacifismo e il suo misticismo eclettico con una proposta morale in cui il valore della ‘compassione’ e del ‘rispetto’ doveva rivolgersi non solo verso tutti gli essere viventi, ma anche verso il mondo naturale organico e inorganico, come quello di rocce e montagne. Per definire i diversi ritmi nella dinamica dei sistemi umani e di quelli naturali, per Huxley era necessario essere consapevoli dell’esistenza di una differenza tra «tempi storici e tempi biologici» che seguono ritmi diversi, in quanto la storia umana è un tempo trascurabile rispetto alla storia biologica della Terra. Questo principio egli lo applicò nell’analisi sullo sviluppo della civiltà attuato attraverso l’abbattimento delle foreste per costruire strade: operando questo processo di devastazione, l’uomo ha stravolto il volto del pianeta in cui viviamo. Per controbilanciare questa visione pessimistica Huxley ammise che l’uomo, grazie ai viaggi, aveva portato piante e animali da varie parti del mondo dando così un contributo non trascurabile alla varietà ecologica del pianeta. Il giudizio finale rimane però molto negativo: l’uomo è vissuto troppo frequentemente sul suo pianeta come un parassita che infesta e distrugge il suo ospite. Lo scrittore mette anche in luce i pericolosi processi di sfruttamento del suolo: la deforestazione per l’utilizzo del legname per le flotte navali, l’industria metallurgica, l’utilizzo intensivo dei pascoli. Uno dei pericoli che Huxley individua per l’equilibrio ecologico del pianeta è anche quello dell’incremento della popolazione. Egli aveva a lungo analizzato il complesso problema della so-vrapopolazione in rapporto ai limiti della capacità di carico del pianeta e soprattutto aveva riflettuto sulla natura dell’uomo come essere vivente, sottolineando sempre l’importanza di un principio programmatico e culturale dell’ecologismo, quello dei limiti. Nell’opera Adone e l’alfabeto (Adonis and the Alphabet) del 1956 dimostrò con lucida consapevolezza l’esistenza di un intreccio tra incremento demografico e limiti delle risorse. Un disequilibrio nell’uso di queste risorse a livello planetario era per lo scrittore la causa di fame, malnutrizione e povertà da un lato, e di ricchezza e opulenza dall’altro. Huxley sottolineò di conseguenza il rapporto tra paesi sviluppati e sottosviluppati. In questa prospettiva si può dire che Huxley come in seguito gli ecologisti, abbia fatto della «cultura dei limiti» uno dei suoi caposaldi teorici, contribuendo all’elaborazione del concetto di «sostenibilità».
Perfino nella condizione più alta della civiltà, l’Uomo è una specie selvaggia che si riproduce a caso e sempre propaga il suo genere fino ai limiti del cibo disponibile per il suo sostentamento. La quantità di cibo disponibile può aumentare attraverso nuovi territori, per l’improvvisa sparizione, dovuta a carestie, malattie e guerre, di una parte considerevole di popolazione o con il miglioramento dell’agricoltura. In qualsiasi momento storico c’è un limite reale per il rifornimento di cibo disponibile. Per di più, i processi naturali e la dimensione del pianeta, essendo quelli che sono, stabiliscono un limite assoluto che non può essere oltrepassato. Poiché l’Uomo è una specie selvaggia, tenderà sempre a procreare fino al limite di quel momento. Di conseguenza molti membri della specie devono sempre vivere ai limiti della fame. Questo è accaduto nel passato e sta accadendo ora, quando circa un miliardo e seicento mila uomini, donne e bambini sono più o meno malnutriti e questo per i prossimi milioni di anni continuerà. Per allora ci possiamo aspettare che la specie Homo Sapiens sarà mutata in qualche altra specie, in maniera imprevedibile non simile a noi, ma ancora naturalmente soggetta alle leggi che regolano la vita degli animali selvatici. (Huxley, 1956, 139).
Nell’importante saggio La doppia crisi (The Double Crisis) del 1948 egli critica non solo la società industriale e il consumismo, ma individua nell’industrialismo il principale responsabile del degrado ambientale del pianeta.
Après moi le déluge! (Dopo di me il diluvio!). L’industrialismo è lo sfruttamento sistematico delle risorse esauribili. In troppi molti casi, la cosa che chiamiamo progresso è soltanto un’accelerazione dello sfruttamento. Tale prosperità come noi abbiamo visto fino ad ora è la conseguenza del capitale del pianeta che si è speso troppo rapidamente. (Huxley, 1973, 83).
In questo senso Huxley anticipò e risultò in sintonia con i futuri ecologisti i quali criticano una visione del mondo fondata su parametri economici e quantitativi, che tende a monetizzare ogni aspetto della vita. Egli si sforzò di combattere una concezione della vita che individua nella crescita economica e nell’aumento della produzione il modo migliore per accrescere il benessere dell’umanità. Lo scrittore attaccò aspramente l’approccio dell’America al guadagno immediato che, a suo parere, nel lungo periodo si sarebbe rivelato controproducente
Talvolta per ignoranza, talvolta
con una piena
conoscenza di ciò che
stavano facendo, ma sempre sotto la pressione del desiderio di un guadagno
immediato, gli americani, nella loro breve storia, hanno rovinato
irrimediabilmente un’area di terreno fertile ampio circa due volte la
dimensione delle terre coltivate e hanno quasi rovinato l’equivalente di un
quarto o un quinto della California (Huxley, Introduction,
1962, XII).
Nel suo romanzo Dopo molte estati muore il cigno (After many a Summer Dies the Swan 1939) Huxley nel personaggio di Joy Stoyote operò una critica feroce contro la stupidità dei magnati americani che credevano di potere comprare tutto con il denaro. Questo personaggio diventa emblematico dell’azione autodistruttiva dell’avidità umana.
Le idee che ho cercato di enucleare si ritrovano nell’ ultimo romanzo di Huxley Isola che rappresenta non solo una sorta di summa del suo pensiero critico, ma anche un suo testamento. Lo schema di questa sua opera l’ aveva già preannunciato nella introduzione della ristampa di Brave New World del1946
E’ un genere di fantasia: è una sorta di rovesciamento de Il Nuovo Mondo è una società in cui gli sforzi reali sono stati fatti per realizzare le potenzialità umane. Voglio mostrare come l’umanità possa trarre il meglio sia dal mondo orientale che da quello occidentale. Per questo il luogo immaginario è tra Ceylon e Sumatra, un luogo di incontro dell’influenza indiana e cinese” (Huxley, 1983, 432).
Questo romanzo presenta la struttura tipica dei romanzi utopici: il giornalista Will Farnaby naufraga su di un isola e dopo un viaggio iniziatico pieno di peripezie incontra gli abitanti di Pala che lo soccorrono e lo curano. Will Farnaby è il tipico viaggiatore in utopia che, dapprima scettico di fronte alla società” altra”, alla fine ne rimane affascinato soprattutto per il modo di vivere degli abitanti e per i valori etici e morali che li caratterizzavano. Nonostante la sua conversione e accettazione del modello di vita degli abitanti di Pala, il dittatore Dipa e il petroliere Joe Aldehyde invadono l’isola con le armi.
Come nei romanzi utopici la parte centrale del romanzo
si articola sui dialoghi
tra Will Farnaby,
il personaggio principale, e Robert MacPhail, nipote del fondatore dell’isola di Pala,
Susila, sua figlia e gli abitanti dell’isola che hanno la funzione di esporgli
i principi su cui si fonda Pala.
Nel corso del romanzo sono numerosi
i richiami espliciti e impliciti alla tradizione occidentale della narrativa
utopica. Essa è caratterizzata da due tendenze: la prima rivolge l’attenzione
sugli aspetti normativi e legislativi, considera la natura come un’entità da
dominare e controllare, esaltando la tecnologia e il progresso come strumenti
per dominare e sfruttare la natura. La seconda si concentra sul rapporto
armonico uomo/natura ed esalta nella vita dell’uomo
gli aspetti legati alla creatività
e al desiderio. L’opera di Huxley appartiene a questa seconda tendenza. [3]
Pala così si chiama «l’isola proibita, luogo che nessun giornalista aveva mai visitato», rappresenta una possibile via d’uscita sia dalla società capitalistica che ha ridotto gli individui a passivi consumatori del tutto privi di ogni senso critico sia dal dirigismo presente nelle società totalitarie. Nel romanzo il personaggio incarnato dal dottore Robert McPhail esemplifica l’atteggiamento degli abitanti di Pala:
Non vogliamo i comunisti, ma non vogliamo neppure i capitalisti. Tanto meno vogliamo l’industrializzazione integrale che entrambi i blocchi sono così ansiosi di imporci… per ragioni diverse, naturalmente. L’Occidente la vuole perché il costo della mano d’opera è basso e i dividendi degli azionisti saranno proporzionalmente più alti; l’Oriente la vuole perché l’industrializzazione creerà un proletariato, aprirà nuove prospettive alle agitazioni comuniste e potrà condurre alla lunga all’istituzione di una nuova democrazia popolare. Noi diciamo no a tutti e quindi non siamo ben voluti da nessuno. Indipendentemente dalle loro ideologie, tutte le grandi potenze possono preferire una Pala dominata da Rendag, ma con pozzi petroliferi, a una Pala indipendente, ma senza pozzi. Se Dipa ci aggredirà, diranno che la cosa è deplorevole, ma non muoveranno un dito. E quando ci avrà sconfitti e farà venire quelli del petrolio, ne saranno felici (Huxley, 2017, 215).
Gli abitanti di Pala rifiutano una concezione economica basata sul produttivismo e sulla industrializzazione sistemica. L’assioma di Lenin, «Elettricità più socialismo uguale comunismo» è stato capovolto con un approccio più globale capace di tenere in considerazione una stretta correlazione tra l’economia, la politica e l’etica.
Lenin diceva che l’elettricità più il socialismo è uguale al comunismo. Le nostre equazioni sono alquanto diverse. L’elettricità meno l’industria pesante più il controllo delle nascite è uguale alla democrazia e all’abbondanza. L’elettricità più l’industria pesante meno il controllo delle nascite è uguale alla miseria, al totalitarismo e alla guerra (Huxley, 2017, 167).
Pala è una società basata sulla cooperazione, si caratterizza per la decentralizzazione di piccole comunità autosufficienti[4], per l’uso di risorse rinnovabili, per l’etica della non violenza e la semplicità. Più volte Huxley nei suoi saggi si è espresso contro lo statalismo a favore dell’indipendenza e autonomia regionale cooperativa.
I principi democratici possono essere messi in pratica efficacemente solo in una comunità dove l’autorità sia stata il più possibile decentralizzata. Un altro punto importante: in uno stato decentralizzato è difficile per qualsiasi uomo imporre la sua volontà su tutta la comunità. La riforma sociale si prefigge di togliere le opportunità di compiere il male. In uno stato decentralizzato l’uomo ambizioso non è messo nelle condizioni di «essere tentato»; in altre parole gli sono date poche opportunità per indulgere nelle sue passioni dominanti. È della massima importanza che la quantità di potere che si può concedere a ciascuno debba essere strettamente limitata e uno dei meriti della decentralizzazione è quello di farlo automaticamente (Huxley, 1937, 100-101).
Inoltre Pala pur essendo ricchissima di petrolio è riuscita a non dare nessuna concessione per lo sfruttamento dei suoi giacimenti. Pala risulta essere una società a bassa industrializzazione e basata sul concetto ecologico di “ sviluppo sostenibile” dove le risorse ambientali sono considerate come un capitale limitato e non rinnovabile. La tecnologia non è mai «neutra». Essa è strettamente connessa ai fini delle sue applicazioni, all’etica, alla cultura scientifica in cui viene concepita e soprattutto alle implicazioni sociali, culturali e ambientali che derivano dal suo impiego. Subentra quindi il problema della scelta del mezzo, ossia quale tipo di tecnologia debba essere usata per conciliare il fine. A questo proposito Huxley anticipa il dibattito sulla necessità di tecnologie appropriate propugnato dagli ecologisti. Già in An Encyclopaedia of Pacifism (1937) Huxley affermava il bisogno di tecnologie semplici, economiche, ma efficaci: “Fornire agli individui o ai gruppi di cooperazione mezzi di produzione per il loro sostentamento e per i bisogni di un mercato locale non costosi e semplici, ma efficaci” (Huxley, 1937, 113).
In Isola il dottor Robert McPhail illustra questo tipo di tecnologie usate a Pala in funzione dell’uomo:
«Mentre noi»
disse il dottor Robert, «abbiamo sempre preferito adattare la nostra economia e
la nostra tecnica agli essere umani, e non gli essere umani all’economia e alla tecnica
di qualcun altro. Importiamo
quel che non possiamo produrre, ma produciamo e importiamo soltanto ciò che ci
possiamo permettere. E ciò che possiamo
permetterci è limitato non soltanto dalle nostre riserve di sterline, marchi e
dollari, ma anche essenzialmente… essenzialmente insistette «dal desiderio di essere felici,
dall’ambizione di divenire
pienamente umani» (Huxley, 2017, 162).
Huxley
propugna, come faranno poi alcuni teorici ecologisti negli anni ’90 tecnologie
«appropriate», «intermedie», «dolci», adatte ai bisogni di una certa popolazione
in un determinato contesto sociale e ambientale per conciliare mezzi buoni per
fini buoni. L’idea delle tecnologie intermedie ha avuto una forte influenza nei
paesi industrializzati nella ricerca delle tecnologie alternative, specialmente
nell’approvvigionamento di risorse energetiche rinnovabili e non inquinanti.
Gli ecologisti negli anni ’90 infatti sostengono il potenziamento e la ricerca
per utilizzare meglio l’energia solare e quella eolica, due risorse non
inquinanti, come il sole e il vento, di cui anche Huxley sosteneva la necessità
di valorizzazione e potenziamento. In Scienza, Libertà e Pace (1946)
Huxley affermava l’importanza di queste fonti energetiche rinnovabili:
Piccoli mulini a vento per secoli hanno girato; ma l’uso su larga scala di turbine a vento è ancora stranamente soltanto in una fase sperimentale. Fino di recente, l’uso diretto dell’energia solare è stato impraticabile, per via della difficoltà di costruire riflettori adatti.(Huxley, 1937, 159).
Anche in Island Huxley riprende il tema del rapporto dell’uomo con la macchina: egli mette in guardia dai pericolo dell’idolatria della macchina, l’uomo non deve diventare schiavo della tecnologia, ma conservare la sua autonomia nei confronti dei mezzi tecnologici. La macchina richiede l’efficienza meccanica; ma l’efficienza meccanica è praticamente sinonimo di imbecillità umana… Ma è meccanicamente efficiente acquietare con poteri atrofizzati di iniziativa un essere umano del tutto vivo? (Huxley, 1929, 750). Per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, a Pala viene ribaltato il principio sella massima efficienza del lavoro tipico delle società industrializzate: “… ma d’altro canto a Pala la massima efficienza non è un imperativo categorico come da voi. Voi vi preoccupate in primo luogo di ottenere il massimo rendimento possibile nel più breve tempo possibile. Noi ci preoccupiamo anzitutto degli essere umani e delle loro soddisfazioni” (Huxley, 2017, 157).
Huxley, come aveva già fatto il socialista William Morris nel romanzo utopico Notizie da nessun luogo (News from Nowhwere, 1891), fonda la concezione filosofica del lavoro sul valore della personalità umana e della sua auto-realizzazione, perché esso non deve essere subordinato alla massima efficienza, ma alla realizzazione e alla soddisfazione dei suoi abitanti. A Pala viene pra- ticato l’impiego del part-time e la prestazione di diversi mestieri.
Il cambiare lavoro non conduce al rendimento massimo nel minor numero di giorni. Ma la maggior parte delle persone preferisce questa alternativa al fare sempre lo stesso lavoro per tutta la vita. Dovendo scegliere tra l’efficienza meccanica e la soddisfazione umana, scegliamo la soddisfazione (Huxley, 2017, 172)
La filosofia del lavoro degli abitanti di Pala è quindi improntata a valorizzare la personalità umana e a qualificare il lavoro in termini qualitativi piuttosto che quantitativi. Per questa ragione Huxley, come molti ecologisti, propugna una rivalorizzazione affettiva del concetto di lavoro per avvicinare la sfera lavorativa a quella personale proponendo una riduzione dell’orario, maggiore flessibilità rispetto all’iper-specializzazione, la creazione di attività autonome di carattere auto-produttivo e di prodotti durevoli e riciclabili. Se Huxley in Il mondo Nuovo (1932) critica il consumismo, la centralizzazione, l’iper-specializzazione e la super- organizzazione del lavoro, in Isola (1962) propone l’alternativa del lavoro flessibile, del part-time, della coincidenza dei mezzi e dei fini come auto-realizzazione. Gli abitanti di Pala all’efficienza preferiscono la soddisfazione e la «flessibilità del lavoro», nonché il volontariato in diversi settori. La ragione di questa diversificazione è inoltre un fatto educativo e formativo per gli abitanti di Pala, in accordo con il pensiero complesso propugnato dagli ecologisti.
«Vent’anni prima» disse dottor Robert «lavorai per un certo periodo come fonditore di rame. In seguito mi feci un’idea di quello che è la vita in mare su un peschereccio. Avere un’esperienza di ogni tipo di lavoro: questo fa parte dell’educazione di tutti. Si impara un’enorme quantità di nozioni in questo modo… sulle cose, sulle tecniche e sull’organizzazione, su ogni sorta di persone e sul loro modo di pensare» (Huxley, 2017, 172).
In Isola, nelle parti che riguardano l’educazione, la medicina, la sessualità, la scienza e la filosofia degli abitanti di Pala appare evidente l’approccio sistemico ricercato da Huxley che unisce il meglio dell’Occidente e dell’Oriente, quella nuova alleanza propugnata anche dagli ecologisti. A Pala si pratica un’educazione globale sulla base di una visione olistica. Ai bambini viene insegnata l’ecologia per fare apprendere la complessità delle relazioni esistenti tra gli esseri umani e la natura, nonché i suoi limiti. Al giornalista Will Farnaby che chiede informazioni sul tipo di educazione impartita a Pala viene risposto così:
«Per esempio, quando incominciate con l’insegnamento della scienza?».
«Incominciamo a insegnarla contemporaneamente alla moltiplicazione e alla divisione. Con le prime lezioni di ecologia».
«Ecologia? Non è un po’ complicata?».
«È proprio questa la ragione per cui incominciamo da essa. Non bisogna mai dare ai ragazzi la possibilità di immaginare che una cosa esista isolatamente. Bisogna chiarire loro sin dall’inizio che tutto ciò che vive è rapporto. Mostrare loro i rapporti nei boschi, nei campi, negli stagni e nei fiumi, nel villaggio e nelle campagne circostanti. Martellare su questa nozione» (Huxely, 2017, 247).
Huxley anche in Isola esprime chiaramente l’assioma degli ecologisti che tutti gli organismi modificano in qualche misura gli ecosistemi in cui vivono. Essendo parte degli ecosistemi, la presenza di questo o quell’individuo o specie è destinata a influenzare il modo in cui funziona un ecosistema: “In Natura se in un sistema ecologico noi disturbiamo un elemento, noi mettiamo l’intero sistema in folle”(Huxley, 1962, XV).
Inoltre, in coerenza con la reciprocità huxleyana del binomio fini-mezzi e con la consapevolezza delle interrelazioni, a Pala viene trasmessa una coscienza etica che è il presupposto dell’ecologia politica. “E mi consenta di aggiungere» disse la direttrice «che noi insegniamo sempre la scienza dei rapporti insieme all’etica dei rapporti. Equilibrio, dare e avere, nessun eccesso: è la legge della natura e, portata dal piano della realtà al piano della moralità. Dovrebbe essere la legge degli uomini”(Huxley, 2017, 247).
Importante per i palanesi è «l’autoconsapevolezza», che significa essere attenti a vivere in maniera consapevole e critica, coltivare l’amore e la compassione nei confronti dell’altro. Così anche se «l’isola proibita» proprio perché pacifista non si difenderà con le armi contro il dittatore Dipa che la vuole conquistare per sfruttare le sue risorse petrolifere e finirà quindi sotto il suo controllo, al lettore rimane impressa , come si diceva, la visione di un forma di società alternativa. Si tratta di un universo dove regna una perfetta armonia tra corpo e mente, tra uomo e natura, dove ciascun individuo ha la consapevolezza di fare parte di un Tutto, e di potere creare un vincolo con l’altro in quanto essere umano. Questa è la speranza che viene suggerita da Huxley nelle ultime pagine del romanzo anche se l’esperimento dell’isola terminerà dopo l’invasione di Pala.
In questo senso l’isola utopica di Pala si configura come il simbolo della ricerca spirituale e culturale di Huxley, perché in essa egli si sforza di coniugare e armonizzare i risultati della scienza naturale e della cultura tecnologica con le filosofie orientali del continente asiatico, buddhiste e induiste. Non è quindi un caso che Serge Latouche il filosofo economista (Latouche, 2008, 2011) fautore della” utopia concreta” della decrescita abbia voluto mettere Aldous Huxley nella collana dei precursori di questa teoria. Huxley non solo critica il concetto errato di progresso come crescita esponenziale e sostiene il concetto di sviluppo sostenibile, ma anche si sforza di operare un sincretismo tra cultura occidentale e orientale. Egli propone come alternativa al consumismo sfrenato delle società capitaliste, le comunità decentrate, autosufficienti, caratterizzate dall’uso di risorse rinnovabili, dall’etica della non violenza e dalla semplicità.
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---. Come
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Per un abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita.
Torino: Bollati e Boringhieri, 2011
Maurini, Alessandro. Aldous Huxley. The Political Thought of a
Man of Letters. Lexington Books, 2017.
Moylan, Tom. ‘And we are here as on a darkling plain’: Reconsidering Utopia in Huxley. Raffaella Baccolini, Ed. Demand the Impossible Science Fiction and the Utopian Imagination. Oxford: Peter Lang, 2014.
Fecha de recepción: 01/03/2020
Fecha de aceptación: 10/10/2020
[1] Questo saggio è in parte una rielaborazione di un mio lavoro: Aldous Huxley, Una società ecologica e pacifista. Milano: Jaca book, 2017.
[2] Huxley venne a contatto con due ecologi americani Fairfield Osborn (Our Plundered Planet, 1948) e William Vogt (Road to Survival, 1948) con i quali intrattenne una interessante corrispondenza. Il periodo che segue la seconda guerra mondiale è stato definito «l’Età dell’innocenza ecologica» e in questi anni importante è stata la funzione del libro di Rachel Carson Silent Spring (1963) per sensibilizzare il pubblico sul tema dell’ecologia.
[3] Per un’analisi delle
utopie ecologiche si veda lo studio di M. de Geus, Ecological Utopias,
International Books, Utrecht, 1999. Lo studioso chiama le utopie ecologiche
«Utopie della sufficienza» («Utopias of sufficiency») quelle utopie la cui ragione d’essere è la soddisfazione
moderata dei bisogni umani attraverso rapporti ecologici armoniosi con la
natura. Queste utopie vengono contrapposte con quelle
«dell’abbondanza» o «tecnoutopie» che celebrano il potere
umano sulla natura e la tecnologia che produce l’abbondanza delle risorse.
[4] Huxley si
era documentato e aveva studiato alcuni modelli di cooperazione Maurini “the Tennessee Valley Authority cooperative
community, groups of workmen in New Zealand, the Consumers’ Cooperative
Movement and the Partinico of Danilo Dolci” (Maurini, Alessandro, Aldous Huxley The Political Thought of a Man
of Letters, Lexington Books, 2017. 141).